Nel contesto condominiale, ogni condomino ha il diritto di utilizzare le parti comuni dell’edificio, a patto che tale utilizzo non ne modifichi la destinazione né impedisca agli altri di farne parimenti uso. Questo principio, sancito dall’articolo 1102 del Codice Civile, consente a ciascun condomino di trarre utilità dalle aree comuni senza dover necessariamente chiedere l’autorizzazione dell’assemblea.
Un esempio pratico riguarda l’installazione di tubature del gas sulla facciata dell’edificio: se il tubo viene fissato al muro comune senza alterarne la funzione essenziale e senza limitare il diritto degli altri condomini di effettuare interventi analoghi, tale installazione è considerata legittima e non richiede il consenso degli altri proprietari. È però imprescindibile salvaguardare la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio.
Naturalmente, se il regolamento condominiale impone specifiche limitazioni, queste devono essere rispettate. Tuttavia, non tutte le clausole risultano valide o vincolanti: per essere tali, devono essere espresse in maniera chiara e specifica, così da permettere a ogni condomino di comprendere esattamente i limiti del proprio diritto.
Una condomina aveva installato tubazioni sulle parti comuni dell’edificio. L’assemblea condominiale ha quindi deliberato di intimare la rimessione in pristino delle opere entro 30 giorni, minacciando un’azione legale in caso di inadempienza. Il motivo addotto era la presunta violazione dell’articolo 4 del regolamento, che vieta ogni atto che possa turbare la sicurezza, l’estetica, la tranquillità, l’igiene e il decoro del condominio.
Nel corso del procedimento, è emerso che la condomina aveva comunicato preventivamente all’amministratore la necessità dell’intervento, illustrando il progetto e organizzando un sopralluogo con un perito e l’installatore. Durante l’incontro si era individuato un percorso per le tubazioni il meno invasivo possibile. Inoltre, la condomina aveva fornito aggiornamenti continui con foto e relazioni.
Il Tribunale ha constatato che il condominio non aveva dimostrato alcun reale pregiudizio arrecato agli altri condomini. Le tubazioni, necessarie al funzionamento dell’impianto di riscaldamento, non avevano alterato il decoro architettonico né compromesso la funzione strutturale del muro comune.
Alla luce di ciò, il Tribunale ha riconosciuto l’intervento come legittimo utilizzo della parte comune ai sensi dell’art. 1102 c.c. e ha annullato la delibera assembleare che aveva negato l’autorizzazione, ritenendola lesiva del diritto della condomina.
In assenza di divieti espressi e specifici nel regolamento condominiale, ogni condomino può utilizzare le parti comuni, come la facciata, per l’installazione di impianti a servizio del proprio appartamento senza dover richiedere un’autorizzazione assembleare (ma con preventiva comunicazione all’amministratore).
L’installazione è lecita se non modifica la destinazione della parte comune e non impedisce agli altri condomini di esercitare un uso analogo. Fondamentale è inoltre il rispetto della sicurezza, della stabilità e del decoro architettonico.
Il decoro, ad esempio, può essere compromesso nel caso in cui la tubazione costituisca un elemento di ingombro vistoso, privo di collegamento architettonico con la facciata e che provochi anche effetti negativi, come l’ombra su finestre vicine (Tribunale di Milano, 19 marzo 2016, n. 3559).
È quindi essenziale che le clausole del regolamento siano chiare e dettagliate: clausole generiche o troppo ampie rischiano di essere considerate “clausole di stile”, prive di reale efficacia vincolante (Cassazione Civile, sez. III, 27/01/2009, n. 1950). Solo clausole precise e comprensibili vincolano i condomini, consentendo loro di conoscere in modo certo i limiti dei propri diritti.
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