Nel condominio l’utilizzo delle parti comuni è spesso terreno di conflitto, soprattutto quando un singolo condomino interviene su elementi strutturali come muri perimetrali o facciate. L’apertura di varchi o finestre, infatti, può essere percepita come un uso più intenso del bene comune e generare incertezze interpretative tra innovazione, modifica lecita e limiti posti dalla legge.
Una recente sentenza del Tribunale di Firenze (n. 3581 dell’11 novembre 2025) affronta con chiarezza questo tema, stabilendo i confini tra il diritto del singolo e i poteri dell’assemblea.
I titolari del diritto di usufrutto su un appartamento avevano comunicato all’amministratore l’intenzione di aprire una finestra sul muro comune con affaccio sul cortile adibito a lavatoio coperto. L’assemblea aveva negato l’autorizzazione, sostenendo che l’opera costituisse un’innovazione capace di:
alterare la destinazione del muro,
compromettere stabilità e sicurezza,
creare potenziale pregiudizio estetico.
Avviata e fallita la mediazione, gli interessati hanno impugnato la delibera, richiamando l’art. 1122 c.c. e confermando la piena regolarità dell’intervento.
Il condominio si è opposto, parlando di innovazione vietata e contestando l’assenza di prove sulla sicurezza strutturale.
Il Tribunale, accertata la regolarità dei documenti tecnici prodotti, ha accolto il ricorso dei condomini.
Dalla consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è emerso che:
il tratto di muro interessato era in ottimo stato, senza segni di dissesto;
l’apertura non comprometteva stabilità né sicurezza, nel rispetto delle normative sismiche;
nessun pregiudizio al decoro architettonico: la finestra risultava coerente con le aperture già presenti.
In merito alla qualificazione dell’opera, il Tribunale ha affermato che non si trattava di innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c., ma di un uso più intenso della cosa comune conforme all’art. 1102 c.c., svolto senza ledere diritti altrui né modificare la destinazione del bene.
Il giudice ha ricordato un principio determinante:
se l’assemblea nega un intervento sul bene comune, spetta al condominio provare che il singolo abbia superato i limiti dell’art. 1102 c.c.
Nel caso concreto tale prova non è stata fornita.
Di conseguenza, la delibera è stata annullata.
La giurisprudenza ha più volte evidenziato la differenza tra:
Interventi della collettività volti a migliorare o rendere più fruibili le parti comuni, nel rispetto di tre limiti fondamentali:
stabilità e sicurezza del fabbricato,
tutela del decoro architettonico,
mantenimento della fruibilità delle parti comuni anche per un solo condomino.
Interventi del singolo, purché:
non si modifichi la destinazione del bene,
non si impedisca agli altri il pari uso secondo il loro diritto.
Nessuna autorizzazione assembleare è richiesta, salvo diversa previsione del regolamento contrattuale.
Questa norma consente al singolo di eseguire opere nel proprio interesse anche su parti destinate all’uso comune, a condizione che:
non si arrechino danni,
non vi sia pregiudizio alla stabilità, sicurezza o decoro dell’edificio.
Nessuna autorizzazione assembleare è prevista, ma è obbligatoria la comunicazione preventiva all’amministratore, che a sua volta informa l’assemblea.
Nel caso in esame il meccanismo è stato rispettato, ma l’assemblea ha posto un divieto non previsto dalla legge, senza dimostrare i limiti violati dal condomino.
La sentenza ribadisce un principio utile nella gestione condominiale:
l’assemblea non può opporsi a opere legittime del singolo sul bene comune se non dimostra che queste violano i limiti normativi.
L’apertura di una finestra sul muro comune può quindi essere pienamente lecita quando:
non compromette stabilità e sicurezza,
non lede il decoro architettonico,
non altera la destinazione del bene,
non limita il pari uso altrui.
Fonte: condominioweb.com
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