Quando si interviene su impianti idrici in ambito condominiale, è fondamentale rispettare le distanze legali previste dal Codice Civile per evitare controversie tra vicini. L’art. 889 c.c. detta norme precise sulle distanze minime da osservare per opere potenzialmente dannose o invasive, come pozzi, cisterne e, soprattutto, tubazioni.
Secondo l’articolo 889 del Codice Civile:
Pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime devono mantenere una distanza minima di almeno due metri dal confine, calcolata dal perimetro interno dell’opera.
Per tubi di acqua (pulita o lurida), gas e simili, la distanza minima dal confine è di almeno un metro.
Restano salve eventuali disposizioni più restrittive contenute nei regolamenti locali.
Queste distanze si applicano anche in ambito condominiale, specialmente quando gli impianti interessano parti comuni o coinvolgono pareti confinanti tra proprietà distinte.
Un caso emblematico è stato esaminato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16349 del 17 giugno 2025. La controversia è nata quando una condomina ha citato in giudizio un vicino per l’installazione di tubazioni di scarico e di acque bianche, destinate a una lavanderia, sulla parete del proprio appartamento, a soli 45 cm dal confine, in violazione dell’art. 889 c.c.
Il Tribunale di Trani, supportato da una consulenza tecnica d’ufficio, ha accolto la domanda della condomina: il vicino è stato condannato a rimuovere le tubazioni e a risarcire i danni. La richiesta di coinvolgimento del condominio è stata respinta, poiché priva di fondamento.
La Corte d’Appello ha confermato la decisione, rilevando che non vi erano motivi oggettivi per derogare alla distanza minima: la lavanderia avrebbe potuto essere collocata all’interno dell’appartamento, utilizzando l’impianto esistente.
Il condomino soccombente ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che:
Le tubazioni partivano da un contatore preesistente, installato a 45 cm dal confine dal precedente proprietario;
Non era stata accertata la pericolosità concreta dell’impianto;
La lavanderia era essenziale per mantenere l’abitabilità dell’appartamento.
Tuttavia, la Cassazione ha respinto il ricorso. I giudici supremi hanno ribadito che la Corte d’Appello aveva correttamente escluso l’esistenza di vincoli strutturali che giustificassero la deroga. Inoltre, hanno chiarito che il posizionamento sul balcone non era una necessità tecnica, ma una scelta discrezionale del condomino.
L’art. 889 c.c., secondo comma, stabilisce una presunzione assoluta di pericolosità per tubazioni che trasportano liquidi o gas, anche se l’opera non ha ancora causato danni. Come confermato dal Tribunale di Taranto (sent. 811/2025) e dalla Cassazione (sent. 14273/2019), la ratio della norma è prevenire rischi derivanti da tali impianti.
Tuttavia, esistono eccezioni. In alcune sentenze (es. Cass. civ., n. 17549/2019) è stato riconosciuto che la distanza può non valere per impianti essenziali e insostituibili per l’uso dell’immobile, in linea con l’evoluzione delle esigenze abitative. Ma ciò non si applica quando l’intervento è facoltativo e può essere eseguito in altro modo, come nel caso in esame.
Infine, la Cassazione ha escluso la possibilità di invocare l’art. 1062 c.c. sulla servitù per destinazione del padre di famiglia: la lavanderia e le tubazioni erano state installate successivamente e non configuravano una servitù preesistente.
L’installazione di nuove tubazioni idriche in condominio deve sempre avvenire nel rispetto delle distanze previste dall’art. 889 c.c., salvo che non si dimostri l’assoluta necessità tecnica e abitativa dell’intervento. La giurisprudenza è chiara: il diritto del singolo condomino all’uso dell’immobile deve essere bilanciato con il rispetto dei diritti altrui e con le regole di buona convivenza.
Fonte: condominioweb.com
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